Yoga: la pratica del cambiamento
Mi trovavo all’ashtanga yoga Mysore presso il ‘Prana House’ di Melbourne, quando, parlando con la mia insegnante Amanda, condivisi le mie grandi difficoltà a mantenere una regolarità con la pratica yoga. Era il 2017, frequentavo una scuola per diventare massaggio terapista che mi costava 8000$ l’anno e facevo 4 lavori diversi per mantenermi.
Quell’anno, lavorai come cameriera in un ristorante italiano, banconista tuttofare presso un ristorante vegan/indiano super gettonato nella zona “hippy” di Melbourne e il week end al mercato di South Melbourne Market in un negozio di prodotti organici. Nei momenti liberi organizzavo lezioni yoga sia al Sant Kilda Park che in studio e insegnavo Reiki.
La mia sveglia suonava alle 6.10 tutte le mattine e nella mia giornata gli unici momenti in cui avrei potuto riposarmi erano quelli passati sul treno per la città o sul tram. Non mi ero mai sentita così viva, ma neppure così stanca di praticare.
Tutte le mattine arrivando allo studio yoga, speravo profondamente di far pena alla mia insegnante () , in modo da sentirmi “in pace con me stessa” e autorizzata a tornare a casa a dormire. Spesso arrivavo con un muso fino a terra, mi veniva difficile perfino salutare. Amanda mi invitava sempre a continuare con la mia pratica, ma senza spiegarmene la vera utilitita’. Sono quelle cose che capisci con il tempo, quando la tua pratica comincia a prendere gli ultimi posti nella scaletta delle tue priorita’.
“Piuttosto fai meno ma continua a praticare” mi disse un giorno.. e aggiunse “Un giorno Pattabhi Jois mi disse : ‘Practice practice… more pain in coming’ (pratica pratica, che altri momenti difficili stanno per arrivare) e ora, Elisa, io lo sto dicendo a te.. More pain is coming! Solo ora capisco cosa lui intendesse e presto lo capirai anche tu..”…. La traduzione che ho riportato, non e’ letterale ma questo era il senso. Ovviamente per me quella frase non fu di nessuna utilita’, anzi mi chiesi come potesse pensare di motivarmi a continuare in previsione di un peggioramento. A cosa sarebbero dunque serviti i miei sforzi??
Il significato di quella frase lo capii, invece, a distanza di tempo, quando piano piano il mio corpo sviluppò 2 ernie discali, un po’ come autoconferma che L’IO (ego) avesse ragione. Pur potendo diminuire l’intensità della mia pratica, arrivando ad un compromesso, decisi invece di interrompere la mia relazione con lo yoga. Cominciai a seguire solo la mia testa, a praticare solo quando mi andava a non avere più regole. Cominciai a perdere il senso della mia sadhana, a pensare che se una cosa non mi va non va fatta.
Arrivai inevitabilmente ad abbandonarla, scoprendo successivamente sulla mia pelle, quanto quella pratica mi diede a suo tempo, che ogni asana, ogni singola postura fosse lì veramente a prepararmi per quel” peggio inevitabile” del mondo materiale.
L’esperienza corporea delle posture, la chiusura in me stessa, quel diventare ‘invisibile’, quel ritirarmi da una realta’ ostile a cui non riuscivo ad adattarmi, la riconobbi come il punto di ripartenza per ‘un’altro giro di giostra’ come disse Terzani. Una possibilità evolutiva verso una me piu’ “attrezzata” ad affrontare il cambiamento e le sfide che la vita continuo’ a presentarmi davanti, giorno dopo giorno, pratica dopo pratica.
I momenti dove la vita mi ha veramente piegata, mi hanno anche insegnato a utilizzare oggi quello che è, preparandomi per cio’ che inevitabilmente sarà. Mostriamo la nostra reale flessibilità in momenti come questi, la capacità di piegarci senza soccombere, in una realtà fatta di transizioni, dove ogni fine di qualcosa, ogni uscita, è anche un punto di ingresso verso qualche altra parte.. di noi.
Elysunrise